di Giuseppe Pietrobelli
CORTINA (23 agosto) - La montagna era la loro grande passione, che
ciascuno interpretava con il proprio carattere anche quando ci
andava con picozze e ramponi, non per aria a salvare chi si era
smarrito. La montagna li ha traditi nella dimensione in cui il
soccorso costringe a superare i canaloni con un fragile, in
apparenza efficiente mezzo meccanico.
Adesso l’AB1209 del Suem è una bara sul greto del Rio Gere, con
l’acqua del colore di fango che scorre tra Faloria e Cristallo. Del
pilota Dario De Filip, dell’assistente pilota Marco Zago, del
tecnico del soccorso alpino Stefano Da Forno e del medico Fabrizio
Spaziani rimangono solo le foto che li ritraggono perloppiù sulle
vette. Non solo le Dolomiti, ma anche gli Ottomila del mondo.
Non si vola con l’elicottero sopra le cime, se non si ama
visceralmente quell’ambiente aspro, di bellezza vertiginosa che
Iddio ha creato per mettere alla prova forza e debolezza dell’uomo.
Stavano facendo quello che ogni giorno li impegnava, un’ispezione
sopra una frana, richiesta anche per la presenza di un’auto
abbandonata. Avevano dedicato la loro vita a tutto questo, chissà
quante persone hanno salvato nella loro vita, come quella famiglia
di Matera, padre, madre e due bambini, recuperati a Ferragosto
mentre erano in evidente difficoltà.
Li chiameranno eroi, angeli delle vette, salvatori capaci del
sacrificio estremo. Erano dei professionisti, in montagna e nel
volo. Ma le loro esistenze raccontano soprattutto la loro umanità.
Semplice, attaccata ai valori essenziali. Capace di grandi passioni
e di gesti coraggiosi.
I familiari si sono chiusi nelle case, a piangere. Gli amici si sono
raccolti all’ospedale di Pieve di Cadore, da dove è partito l’ultimo
volo. C’è poca voglia di parlare e di raccontare.
Fabrizio Spaziani, 46 anni, era un medico, ma anche un
esperto alpinista. E delle ricerche in alta quota aveva fatto una
specialità. Ad aprile si era precipitato in Abruzzo, a coordinare il
primo intervento del Suem di Belluno. La notorietà l’ha avuta per
aver fatto parte della spedizione degli Scoiattoli di Cortina che
diede l’assalto al K2 nel cinquantesimo anniversario della conquista
da parte di Lacedelli. Era un punto di riferimento
nell’organizzazione, nella specializzazione e nella gestione degli
interventi in situazioni di emergenza.
Il pilota Dario De Filip, 49 anni, sposato, di Pieve d’Alpago,
proveniva dai vigili del fuoco. Era poi passato a Elidolomiti, la
società che fino a qualche anno fa gestiva i soccorsi nel Bellunese.
Aveva lavorato anche per Elifriulia, una società analoga che opera
sulle montagne friulane. Grande esperienza, grande preparazione per
il lavoro in montagna. Lascia la moglie e due figlie.
Marco Zago, 42 anni, di Belluno, tecnico aeronautico e
componente del Soccorso Alpino, era stato assunto in Elidolomiti.
Non si occupava solo di volo, dove la sua specialità erano gli
interventi con i verricelli, per trasportare barelle e feriti, ma
era anche un ottimo alpinista (aveva arrampicato anche in
Patagonia). Era sposato con Barbara, che fa la maestra, aveva un
figlio che ieri compiva tredici anni. Il ragazzo era ad un campo
estivo in Val Visdende dove la mamma e lo zio sono andati per dirgli
che papà non c’era più, è morto nell’adempimento del dovere. Tra due
giorni, terminato il turno, avrebbe finito il servizio in elicottero
con la Inaer (che è proprietaria dell’elicottero del Suem), per
passare a un’altra ditta.
Stefano Da Forno, 40 anni, originario di Pozzale, tecnico di
elisoccorso e componente del Soccorso Alpino di Feltre, era un
alpinista che aveva collezionato alcune imprese, come l’Aconcagua e
il McKinley. Prima di dare l’assalto a questa seconda vetta, rimase
bloccato per dieci giorni tra bufere di neve. Non era sposato e
aveva il soccorso alpino nel sangue, per lui era diventato una
ragione di vita, al punto che si era trasformato in un perfetto
addestratore regionale per altri tecnici.
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